Siamo ancora una specie giovane

A cura di Luigi Zumbo
19/01/2024
.

Viviamo in tempi violenti. E’ uno di quei mantra che abbiamo imparato a sentire dalle nostre nonne, accompagnato da uno scuotimento di capo e per il quale abbiamo sviluppato un meccanismo di accettazione. Quanto meno nei confronti del suono di quelle parole. Atteso che i tempi cambiano e restano sempre violenti, una certa lucidità di pensiero ci costringe a destrutturare il mantra e togliere ogni connotazione temporale. Ne rimane che viviamo in una società violenta. Così è ed è sempre stato. Quel caos biochimico che governa le nostre azioni e ci rende capaci di gesti orribili e imprese eroiche, trova un perimetro di contenimento solo nelle regole che ci diamo per autogovernare il peggio di noi.

Ed è così che, probabilmente, stringiamo il perimetro cercando di non punire solo le azioni ma governare le cause. Puntiamo i riflettori sulla formazione scolastica e sull’importanza dell’accettazione delle diversità. Mettiamo tra le nostre priorità lo sviluppo di una comunicazione smussata (quanta carta vetrata dovrò passare sugli angoli di queste mie parole). Cerchiamo di non essere “non inclusivi” (perdonate la quadrupla negazione, ma fa parte delle regole della carta vetrata) in ogni nostra azione. Si tratta di scrivere il piano di biosicurezza delle azioni, includendo noi stessi, tra i principali rischi. 

Probabilmente non restituisce una sensazione di sicurezza, ma ci pone in una posizione attiva nei confronti del problema. Il problema, che a ben guardare, siamo noi.

Se concordiamo sulla premessa, è giunto il tempo di guardare ai pensieri che si affollano e che vorrei provare a mettere in ordine. Qualche settimana fa commentavamo come un “no” di troppo da parte di un medico veterinario di Ragusa impegnato in controlli ufficiali, avesse comportato il taglio di tutti e quattro i pneumatici della sua auto. E a ben guardare, qualche settimana prima, insulti e minacce sono comparsi sui muri di una ATS di Pavia, sempre contro medici veterinari che altro non facevano se non operare secondo scienza medica. Poi c’è quella collega che in lacrime mi chiede quale atteggiamento deve assumere nei confronti di un rapporto con un cliente che la sta logorando per i contenuti e per i modi. E nel filo conduttore devo per forza inserire il direttore sanitario di una clinica che, visto con i miei occhi, affrontava con calma e sopportazione un utente che lo minacciava verbalmente e fisicamente. Scena vista troppe volte, con sfumature e argomenti differenti, ma che richiama sempre la stessa immagine di resistenza. Tutto questo fa a spintoni e vorrebbe spingermi a dire qualcosa di intelligente mentre un giornalista chiede se ho qualcosa da dire su Aron, il cane che è stato bruciato vivo dal suo proprietario, per nessuna apparente ragione (come se ne potesse esistere una) e che è morto, nonostante il ricovero e la terapia intensiva. Mentre cerco una sintesi, mi interrogo su quale risposta ci si aspetta da un medico veterinario, da un presidente di Ordine, da un cittadino. Dovrei dire che niente è facile e non lo è mai stato e che una volta accettata questa idea, bisognerà sforzarsi ulteriormente per comprendere una professione che del “difficile” ha coniato un nuovo lemma. Dovrei elencare una per una le sfide e i rischi di un mestiere che ha a che fare con il denaro, con i sentimenti, con la scienza e con la disinformazione trasversale e sistemica, con la politica e con la totale assenza di essa. Dovrei dire che l’esercizio del pensiero gentile è importante, ma solo se si tengono in considerazione anche i fatti e che le opinioni hanno il diritto di essere espresse solo se si basano su di essi. E ovviamente dovrei farlo passando la carta vetrata e una buona mano di vernice sugli angoli più pericolosi. Oppure potrei semplicemente scuotere il capo e dire che questi sono tempi violenti. Farei contenta mia nonna e probabilmente anche il giornalista. 

Tengo da parte un pensiero. Tomasi di Lampedusa parlando di noi siciliani si sbagliava. Non siamo “vecchi, vecchissimi”. Non lo è nessuna donna e nessun uomo e abbiamo ancora tanto da imparare. Il caos biochimico che ci tempesta ha bisogno di molti altri anni di buon governo. Di ulteriori regole che non devono sconfinare nel ridicolo. Di accettazione e di lotta costante. Quella lotta di quel medico veterinario, in piedi calmo e impassibile davanti alla minaccia che per me è stata una lezione.

FNOVI!
iscriviti alla newsletter di