Riflessione sui fatti e sull’ideologia

di Luigi Zumbo
30/10/2024
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Si chiama effetto Dunning Kruger e risponde a una domanda che molti, in modo più o meno consapevole, si pongono. Stabilisce che esiste “una distorsione cognitiva nella quale individui poco esperti e poco competenti in un campo tendono a sovrastimare la propria preparazione giudicandola, a torto, superiore alla media” In estrema sintesi secondo David Dunning e Justin Kruger la distorsione deriva da un'illusione interna nelle persone con scarse abilità e dalla loro errata percezione esterna relativamente alle persone estremamente abili. Ciò comporta che la persona incompetente tende a percepirsi come estremamente competente e a sottostimare tutti gli altri. In pratica, meno si conosce più è difficile valutare il proprio livello di competenza. Secondo gli studi (non pochi e svolti alla Cornell University) è vero anche il contrario. Ovvero che le persone estremamente competenti mettono molte volte in discussione la propria preparazione e difficilmente si lanciano in mischie d’area per tenere il punto.

La dinamica che porta a sentenziare su argomenti particolarmente ostici in modo lapidario e con massima sicurezza, quindi ha un nome. Anzi due cognomi. Trovano esatta collocazione dichiarazioni fuorvianti sulla peste suina o sulla West Nile, senza contare l’intera enciclopedia delle esternazioni su brucellosi e tubercolosi. Esternazioni giornalistiche povere di contenuti e in cerca di un sostegno economico basato sulle visualizzazioni e, purtroppo, comportamenti politici adatti al migliore bar dello sport o al peggiore dei social network. Il fatto di averne definito le dinamiche, non sembra dare una spiegazione sul perché questo effetto sembri sempre più presente e susciti una polarizzazione così ampia. La riflessione mi ha lasciato per molto tempo in sospeso, finché non mi sono imbattuto, in Thomas Rid un giornalista che ha documentato in modo molto dettagliato la strategia della disinformazione. Il cosiddetto political warfare. Rid individua due modi di interpretare il concetto di verità: Il primo si chiama verità analitica. È positivista e sostiene che qualcosa è vero quando è accurato, ripetibile, basato sui fatti e si accorda con l’osservazione.
In pratica incarna la definizione stessa di “metodo” sia esso scientifico, di indagine, giornalistico e così via. Guarda sempre al presente e mai al passato mitizzato o a un futuro insondabile. Le osservazioni fanno da ponte per unire vedute contrastanti. Il risultato è sempre un accordo e mai un conflitto. La materia di cui si ciba è la prova fredda e controllata, rifiutando la retorica calda ed emotiva.
C’è però un’altra verità: la verità ideologica. Qualcosa è vero quando è giusto, quando è in linea con dei valori e se corrisponde a una radice culturale. In questo senso è una verità che vale solo per una nicchia culturale, sia essa una comunità, una bolla o una classe. La verità, in questo caso, è radicata nel passato o persegue uno scopo posto in un prossimo futuro. In questo caso cambiare posizione è un segno di debolezza. Il dibattito può solo confermare vedute storiche e il risultato è una divisione. Nonostante queste due verità siano sempre esistite, ne esiste solo una che può tenere in piedi un sistema democratico. Prediligere la verità analitica a quella ideologica non è solo una questione di stile, ma è un fatto esistenziale per una società che vuole mantenersi aperta e libera di crescere.
Questa newsletter vi raggiungerà con un giorno di anticipo perché venerdì è festivo e per alcuni (temo non tantissimi) si prospetta un weekend lungo. Spero che nelle vostre vite possa esistere ancora il lusso del tempo dedicato a riflettere e mi auguro che in questi giorni possiate trovarne a sufficienza. Abbiamo tutti bisogno di interrogarci se siamo effettivamente consapevoli delle nostre competenze e del nostro ruolo sociale e se questa consapevolezza è costruita sulle giuste prove. Mi auguro possiate trovare nei fatti il riscontro alle vostre verità e che questo non vi impedisca di metterle sempre in dubbio.
Quando a Dunning fu chiesto in un’intervista quale singola caratteristica rende una persona incline all’autoinganno, lui rispose “il fatto stesso di respirare”.

Fonte: 
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