FNOVI rigetta le accuse di “indulgenza legale” nei casi di errore professionale del medico veterinario
FNOVI rigetta le accuse di “indulgenza legale” nei casi di errore professionale del medico veterinario

Negli ultimi giorni si è sviluppato un ampio dibattito pubblico — alimentato dalle dichiarazioni dell’avv. Giada Bernardi, fondatrice di GiustiziAnimale — secondo cui l’errore professionale del medico veterinario sarebbe trattato con maggiore indulgenza rispetto all'errore commesso in ambito medico umano, risultando più frequentemente in un semplice risarcimento economico anziché nella sospensione dell’attività professionale.
Aderendo alle considerazioni già espresse in fase di replica dal Presidente ANMVI, quanto accaduto sollecita una riflessione preliminare sulla reale origine di questa presunta “disparità” di trattamento.
Ciò che appare come una tutela minore del paziente animale non deriva infatti da una mancanza di attenzione nei confronti del professionista o dell’animale stesso, ma dalla cornice giuridica entro cui il diritto italiano inquadra l’animale nella sua dimensione civilistica. Nonostante il diritto penale riconosca da tempo la natura senziente dell’animale, il Codice Civile continua in larga parte ad assimilarlo a una res, cioè a un bene di proprietà.
Sebbene la giurisprudenza più recente abbia iniziato a mettere in discussione questa impostazione, essa continua a influenzare in modo determinante le dinamiche di responsabilità professionale. Quando un medico veterinario commette un errore, infatti, l’azione legale avviata dal proprietario mira prevalentemente al risarcimento del danno patrimoniale (valore dell’animale, spese veterinarie) e sempre più spesso anche del danno non patrimoniale, come la sofferenza emotiva per la perdita del legame affettivo con l’animale.
Diverso è l’ambito penale: nei casi di maltrattamento o uccisione volontaria o per colpa grave, il sanitario è pienamente perseguibile. Tuttavia, negli episodi di mera negligenza o imprudenza, la condotta che in medicina umana configurerebbe lesioni personali colpose o omicidio colposo viene generalmente ricondotta nell’alveo dell’illecito civile, salvo che non emergano elementi di colpa grave tali da integrare il reato di maltrattamento.
È quindi il proprietario — e non l’animale come soggetto leso — il titolare principale della tutela risarcitoria. Di conseguenza, l’intera gestione della responsabilità professionale non può che riflettere tale assetto normativo. In questo contesto, per contrastare in modo efficace ogni percezione di “indulgenza” nei confronti dell’errore veterinario non appare sufficiente invocare un irrigidimento delle sanzioni penali nei casi di colpa lieve. Occorre piuttosto intervenire sul quadro normativo alla radice, e cioè sulla riforma del Codice Civile, affinché agli animali venga riconosciuto uno status che superi definitivamente la loro assimilazione a beni di proprietà. Porre realmente la salute e il benessere dell’animale al centro della tutela legale significa quindi avviare un percorso che riconosca agli animali un ruolo giuridico autonomo, almeno nelle situazioni che riguardano la loro integrità e il loro benessere.
Su questo fronte il medico veterinario, già fortemente impegnato nella promozione del possesso responsabile e nella tutela degli animali in ogni contesto, può e deve continuare a essere protagonista.